Un angolo di paradiso, percorsi tra arte e storia, tradizioni e Natura e buon cibo.
Ad Isola Maggiore lo splendore incorrotto del paesaggio si intesse indissolubilmente con un passato lontano che ci porta sino all’epoca etrusco/romana. Isolate, però, sono le informazioni storiche almeno fino in pieno Medioevo. Negli ultimi secoli, poi, la comunità isolana ha conosciuto periodi di sviluppo e di crisi economica e demografica, causati, principalmente, dal continuo mutare del livello del lago e dal rilievo economico della principale attività di sostentamento degli isolani stessi: la pesca.
Nel corso del XII secolo Isola Maggiore si sottomette al Comune di Perugia che diviene il possessore del lago, delle sue isole e di tutto il territorio circostante (non a caso il Trasimeno in questo periodo assumerà il nome di Lago di Perugia). Nel censimento del 1282, la comunità isolana risulta composta da 70 famiglie per un totale di 300 persone, molte delle quali dedite a una già ben attrezzata attività piscatoria. Ed è proprio Isola Maggiore, insieme alla comunità di pescatori sita a Isola Polvese, che nella seconda metà del
Duecento dominano la pesca al Trasimeno. Isola Maggiore, nei primi anni del 1200, fu anche luogo di preghiera e di permanenza (e di tradizione popolarletteraria) del fraticello d’Assisi, Francesco, che qui trascorse un’intera Quaresima, cibandosi solo di mezzo pane.
A cavallo tra fine Medioevo e inizi dell’Età Moderna, Isola Maggiore diviene il centro di pesca più importante in assoluto; ne sono testimonianza le ricche committenze di molte opere d’arte conservate nelle numerose chiese dell’isola. L’abitato raggiunge nel XVI secolo il massimo sviluppo con una popolazione stimata tra 500 e 600 abitanti e si snoda su due strade parallele. Isola dà, inoltre, in questo periodo, i natali a personaggi di spicco tra i quali Matteo dall’Isola, letterato e umanista, autore dell’opera in latino Trasimenide. Grazie a Matteo abbiamo tutta una serie di notizie concernenti la storia, l’economia del lago e di altri centri storici, nonché cenni sulla caccia e sulla pesca. Egli ci fa conoscere, altresì, rinomanti suoi conterranei quali Antonio Spennato, filosofo e medico, Guidone Vannucci, grammatico e Marco Serperella, altro insigne letterato, chiamato nel 1502 a ricoprire l’incarico di Precettore di Belle Lettere presso lo Studium perugino. Isola Maggiore del 1500 è in vivo fermento: si contano ben otto edifici di culto, la Casa del Capitano del Popolo o dell’antico orologio, la Casa delle Opere Pie e l’Ospedale dei Disciplinati, due mulini a vento e tutti i luoghi collegati al passaggio di S. Francesco. A ciò va aggiunto la presenza sull’isola di ben cinque confraternite, la cui opera era tutta improntata verso gli strati deboli della società, dalla prospettiva di un decoroso funerale e preghiere a suffragio all’impegno di ogni tipo di assistenzialismo. La più antica è la confraternita di Santa Maria dei Disciplinati (esistente almeno dal 1341 e soppressa, dopo alterne vicissitudini, solo nel 1983) che si occupava della distribuzione di derrate alimentari ai poveri e gestiva un piccolo ospedale, collocato presso la Chiesa di S. Salvatore. Sul finire del ‘500, ha inizio il periodo di piena più lungo e tormentato che la storia locale ricordi. L’acqua ristagnò per anni nei piani inferiori delle abitazioni di Isola Maggiore, Passignano e San Feliciano (il castello di Borghetto venne completamente invaso dalle acque). A causa di questa inaspettata e ingestibile situazione, i pescatori del Trasimeno si videro costretti ad abbandonare la tecnica di pesca dei tori e fu così che Isola Maggiore perse il suo primato a
beneficio di San Feliciano, dove era praticata una tecnica di cattura di pesce pregiato attuata con le cosiddette arelle all’interno della Valle, un’insenatura protetta del vento sita nella zone sudest del lago.
A questo crollo economico fece eco un tracollo demografico. Nel 1630 la popolazione si ridusse a 355 persone; nella seconda metà del secolo si dimezza. Tra 700 e inizio 800 la popolazione oscilla tra 100 e 150 unità. Nei decenni successivi, tuttavia, la popolazione ricomincia a crescere. Ad Isola Maggiore arriva il marchese Giacinto Guglielmi di Civitavecchia che fa erigere un complesso residenziale simile a un castello inglobando, nel nuovo edificio, l’abbandonato convento e la chiesa di San Francesco. Con la costruzione della villa (parco e giardino compreso), i Guglielmi diedero possibilità di lavoro a varie maestranze per alcuni anni, offrendo alle misere famiglie isolane almeno adeguato decoro. Nel 1904, su iniziativa di Elena, la figlia di Giacinto e di Isabella (il castello Guglielmi è conosciuto anche come “Villa Isabella”), venne aperta una scuola di ricamo per le giovani figlie dei pescatori, Fu chiamata una maestra torinese esperta nel “pizzo o punto d’Irlanda”, un delicato merletto lavorato con un uncinetto finissimo. Questa tradizione è giunta sino ai nostri giorni ed ancor oggi è possibile vedere all’opera le isolane davanti all’uscio di casa e acquistare le varie realizzazioni di questa tradizione isolana lungo Via Guglielmi.
Intorno alla metà del secolo scorso con il declino della famiglia Guglielmi, dell’attività peschereccia e del vertiginoso calo del livello del lago, si chiude questa breve fase di prosperità per Isola Maggiore e i suoi isolani.
L’impaludamento che attanaglia il lago rende impraticabili le migliori zone di pesca segnando così l’avvio di una nuova e lenta emigrazione verso la città e verso un lavoro più sicuro. Nei primi anni ’70 la pesca torna a dare nuove garanzie e speranze. Isola Maggiore comincia timidamente a conoscere il fenomeno del turismo di massa incentivato dall’istituzione, nel 1962, di un servizio di Navigazione pubblica da parte della Provincia di Perugia. Senza rinnegare l’anima e le radici pescherecce, questa comunità ha iniziato a costruire al proprio interno una nuova identità e nel giro di pochissimo tempo Isola Maggiore è divenuta meta di un flusso turistico imponente. Appena scesi sul pontile di Isola Maggiore e percorsi i pochi passi che portano all’interno dell’abitato si percepisce immediatamente di essere in un luogo incantato, fatto di tradizione e cultura. Avere una minima cognizione della storia di Isola Maggiore significa comprendere, prima di tutto, quanto la pesca sia stata un motore vivacissimo per la vita di questa comunità.
Il sistema della pesca dei tori (dalla voce latina torus nel senso di “rigonfiamento”) non è più utilizzato ormai da quattro secoli, ma ne rimangono ampie testimonianze documentate che rivelano non solo la grande pescosità del lago nei secoli passati, ma anche la volontà di sfruttare e, al tempo stesso, di tutelate un bene prezioso. Ottimizzare le forze e avere risultati soddisfacenti, voleva dire, per i pescatori, avere la possibilità di usufruire si impianti permanenti di pesca. Intorno alla metà del Quattrocento questa tecnica contava al Lago di Perugia ben 2000 impianti fissi di cattura. Ma il lavoro per la loro realizzazione non era affatto semplice e coinvolgeva buona parte della comunità lacustre (boscaioli, contadini, artigiani costruttori di imbarcazioni, tessitrici e via dicendo) per diversi mesi dell’anno. In inverno si tagliavano tronchi e pali di castagno o cerro; nella tarda primavera era necessario ricavare enormi quantità di fronde di quercia per fare le fascine che, durante l’estate, con il lago calmo, venivano trasportate su barconi nei luoghi prescelti, ove c’erano le cataste utilizzate l’anno precedente. Così i pescatori formavano centinaia di mucchi di forma piramidale (i tori) dove i pesci trovavano asilo all’inizio stagione invernale. Con la canapa, coltivata lungo la riva del lago, si fabbricavano le reti. I pescatori erano organizzati in Compagnie di nove uomini con un capo barca (detto navarca) e otto uomini di fatica e si avvalevano di un grande barcone da carico (nave) e di una barca più piccola da appoggio (navigliuolo).
Lo stesso Matteo dall’Isola descrive con toni epici le gesta dei pescatori. Una volta arrivati sul luogo della pesca, gli uomini di fatica iniziavano a costruire intorno al toro due strutture circolari con pali conficcati nel fondo melmoso. Reti a maglia fitta venivano appese ai pali fuor d’acqua del circolo esterno e poi calate sul fondo creando una grande camera con tutti i pesci che vi rimanevano imprigionati. Gli uomini, poi, con aste uncinate e lunghi rastrelli ricurvi, estraevano dal fondo tutti i fasci e li gettavano fuori dalla palizzata. A questo punto non rimane che raccogliere il pesce rimasto a vagabondare all’interno del toro. La nave veniva fatta entrare al centro e si iniziava a recuperare la rete con tutti i pesci intrappolati. Poi venivano tolti tutti i paletti e le pertiche e sul posto rimane solo il coacervo di fascine che costituiva da base del toro per l’anno successivo.
Oltre alla pesca dei tori, vi era la pesca del gorro, una rete lunga 120 metri alle cui estremità erano legate due funi lunghissime per il traino a riva. Essa veniva distesa in acqua a semicerchio e recuperata nei tratti di costa liberi da canneti e da piante palustri sommerse, in genere di fronte alle foci dei torrenti.
Abbiamo già accennato alla presenza sull’isola di un elevato numero di edifici religiosi: la chiesa del Buon Gesù, nata come oratorio e sede della confraternita di Santa Maria dedita ad assistere i bisognosi, al cui interno si può scorgere un altare di gusto tardo barocco e due tele, una del pittore toreggiano Anton Maria Garbi e l’altra del pittore assisiate Giacomo Giorgetti. Si passa, poi, alla chiesa di San Salvatore di impianto romanico con un’unica navata con transetto e abside semicircolare. La decorazione pittorica delle pareti è quasi totalmente perduta. Sul lato sinistro della chiesa, in una cappella dedicata alla Immacolata Concezione di Maria, sono stati posti oggetti ed opere d’arte come un tabernacolo di gusto baroccesco e due statue lignee del XVI secolo raffiguranti S. Francesco e un Cristo Risorto. Pieve di San Michele Arcangelo sorge sulla sommità dell’isola. L’edificio è a navata unica tagliata da archi diaframmi a tutto sesto. La facciata culmina con un campanile nel quale una delle due campane porta la data 1291. Questa è una delle Chiese più ricche e interessanti da un punto di vista artistico. Le opere qui preservate coprono un arco cronologico che va dalla fine del XIII secolo al XVI secolo: gli affreschi che adornano le pareti seguono risentono di stilemi pittorici che vanno da influenze bizantine, passando per Cimabue, Giotto, Piero della Francesca, fino al linguaggio rinascimentale del Beato Angelico e Benozzo Gozzoli e a quello tutto umbro e lacustre di Pietro Vannucci, il Perugino.
Tra gli edifici caratterizzanti la storia di Isola Maggiore vanno, in più, rammentati Casa del Capitano del Popolo e il Palazzetto medievale, conosciuto come Casa Bartocci.
Adiacente alla Chiesa del Buon Gesù, si scorge il palazzetto conosciuto come con il nome di “Casa del Capitano del Popolo”. L’edificio, nelle sue coppie di eleganti bifore, presenta elementi architettonici gotici che permettono di collocarlo cronologicamente nel XIV secolo. Il nome potrebbe derivare dall’’effettivo utilizzo della casa da qualche di qualche personaggio che aveva esercitato la carica di Capitano del Popolo nel governo comunale di Perugia, a dimostrazione dei forti interessi che legavano la città del grifo a quest’isola del Trasimeno. Da notare l’orologio, inserito, con tutta probabilità, nella seconda metà del XVIII secolo, quando i documenti fanno riferimento ad un addetto alla manutenzione dell’orologio stesso. Oggi l’edificio ospita un centro di documentazione sulla storia dell’isola, tappa obbligatoria per chi vuole conoscere, in maniera più esauriente, la realtà economica, artistica e sociale di Isola Maggiore.
Infine Casa Bartocci è l’edificio che più di tutti mostra ancora oggi i suoi caratteri trecenteschi. Costruito in pietra arenaria, si articola su tre piani con un avancorpo sulla destra, il cui piano terra è costituito da un porticato. Eleganti finestre monofore con archi a tutto sesto si distribuiscono sulla facciata. Il portale destro è sormontato dalla raffigurazione di uno stemma di difficile identificazione, forse una croce di qualche ordine militare (talvolta identificata con quella templare).